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Le interviste De-LAB: Giovanna Bonora

Prosegue la nostra rubrica delle interviste “segnanti” 🙂 oggi intervistiamo Giovanna Bonora, Fundraiser.

  • Nella tua pluriennale esperienza ti sarai certamente trovata di fronte alle motivazioni più disparate che spingono le aziende a fare filantropia. Quali sono quelle più comuni?

Per le aziende, così come per gli individui, ci sono due ragioni principali: si dona per posizionarsi rispetto ad un problema sociale che si avverte come urgente e che si vuole contribuire a risolvere, oppure per “restituire” qualcosa alla comunità e al territorio in cui si opera e si hanno relazioni.

  • In un periodo difficile come quello in cui stiamo vivendo, come stanno reagendo le aziende, le fondazioni e i grandi donatori in generale in ambito di filantropia?

Il cambiamento ha modificato la tendenza alla tanto criticata “iperprogettualità” delle fondazioni, che invece si sono concentrate al sostegno diretto alle organizzazioni non profit, non più attraverso i singoli progetti, come normalmente accade. Sono stati messi in atto bandi e finanziamenti molto veloci ed efficienti (addirittura, sorvolando spesso su requisiti basici come la presentazione di un budget o l’identificazione dei KPI). Le aziende oltre a fare donazioni si sono spesso spinte fino a riconvertire la loro attività produttiva.        Per molti donatori inoltre i soggetti pubblici, come gli ospedali, tradizionalmente poco familiari perché percepiti come inefficienti, sono diventati i partner d’elezione nonostante in Italia manchi un coordinamento centrale come quelle delle charity legate al NHS in UK. Infine, molti hanno pensato per la prima volta ai lasciti testamentari come forma di sostegno filantropico.

  • Il Covid ha avuto senza dubbio un forte impatto sul fundraising ma anche sulle priorità dei donatori. Secondo te, quali saranno gli elementi che caratterizzeranno il mondo della raccolta fondi post-Covid?

La seconda ondata Covid non è ancora finita e c’è molta incertezza, è difficile fare previsioni in uno scenario socieconomico così instabile. Di sicuro è emerso nuovamente il tema della disintermediazione: i volumi di donazioni, ma soprattutto di donatori, raccolti dai Ferragnez ne sono solo l’ultimo e più luminoso esempio.

  • Negli ultimi anni si parla sempre di più di “Donor Love”, ovvero l’approccio secondo cui è necessario prendersi cura e coinvolgere il donatore, mettendolo al centro della storia. Secondo la tua esperienza, quali sono i modi migliori per farlo?

Essere spontanei nel rapporto con il donatore è l’unica chiave. Significa, per esempio, non usare il “progettese” ma il linguaggio del donatore, perché possa comprendere pienamente in che modo il suo contributo farà la differenza.  Considerare il donatore per quello che è, quindi una persona e non solo un finanziatore, metterlo al centro, sentirlo senza chiedergli sempre e solo soldi, ad esempio per una telefonata di auguri. Questo si applica anche alle persone di un’azienda: è sempre possibile essere spontanei e parlare con il cuore, se si ha passione per quel progetto e soprattutto per quel donatore.

  • In che modo il fundraising che avviene nel Nord del Mondo differisce da quello che avviene nel Sud del Mondo? (Diversi temi, diversi modi di erogare i fondi)?

Ogni mercato ha le proprie caratteristiche. La mia esperienza diretta di fundraiser è limitata al contesto europeo e a quello anglosassone (UK e US). Sento però che nel Nord del Mondo la nostra percezione di superiorità è decisamente ingiustificata e non tiene in considerazione tradizioni importanti di filantropia come quella islamica, raramente menzionata in dottrina o nei convegni (ndr. molto attiva nel recupero post bellico, come nel caso della Bosnia Herzegovina), per non parlare di quella di stampo asiatico, quasi completamente invisibile nel dibattito internazionale. In Italia, in particolare, lo sguardo è troppo spesso limitato allo scenario nazionale mentre aprire l’orizzonte potrebbe aiutarci a essere più innovativi e inclusivi.

  • Qual è il limite più grande della filantropia aziendale?

La mancanza di coraggio di fundraiser e NGO: spesso le aziende sono più coraggiose di noi nel combattere determinate battaglie sociali. Ci limitiamo a chiedere soldi quando possiamo chiedere contatti, expertise, relazioni.

  • Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una diffusione molto forte del crowdfunding, uno strumento di fundraising partecipato e diffuso: ci sono dei progetti che sono più adatti a quello strumento, anziché alla filantropia classica?

Sicuramente è adatto a progetti molto specifici e finiti, che hanno un inizio e una fine ravvicinati nel tempo, magari legati a un territorio comune, non solo fisico, o a una comunità precisa. Non è necessario avere una strategia di lungo periodo o una struttura organizzativa alle spalle, proprio per questo il crowfunding è utilizzato, oltre che dalle charity, anche da singole persone, imprese sociali, start-up…

  • Quali sono le caratteristiche della filantropia italiana, rispetto a quella di altre nazioni? In altre parole, come differiscono i donor Italiani da tutti gli altri?

Differiscono per difetto sia in quantità che qualità: l’Italia negli ultimi anni si trova sempre intorno a metà della classifica del World Generosity Index. Questo ha delle ragioni politico-economiche, dovute all’esistenza di un welfare state ancora relativamente forte: non c’è quindi una cultura della donazione proveniente dal privato per la forte presenza dello Stato, a differenza per esempio degli Stati Uniti. Ci sono poi influenze religiose di matrice cattolica: in Italia è ancora fortemente percepito il valore di fare del bene senza dirlo, limitando quindi la diffusione di buone pratiche ed il “contagio positivo” della donazione. (Questo può essere dovuto alla crisi economica che oramai attanaglia l’Italia da più di 10 anni? Ndr) No, anche perché molti settori industriali- e di conseguenza molte persone- sono cresciuti a doppia cifra nonostante la crisi economica – che è mondiale, non solo italiana. Ci sono però anche novità positive, come la maggiore conoscenza e diffusione del lascito solidale.
….alla prossima intervista!

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